Riccardo Filippini, Collettivo Cinema Popolare, S.Ambrogio Valpolicella (VR)
La storia che mi appresto a riportare è un racconto vero, vissuto dallo zio di mia nonna Miranda, Francesco, che agli inizi del Novecento emigra negli Stati Uniti. I sentimenti e le emozioni di questa storia mi hanno sempre accompagnato fin dalla mia infanzia perché l’ho sempre sentita raccontare e per me piccolo bambino lo zio d’ America era diventato un mito. Approfondendo poi gli studi sull’argomento ho capito le tante difficoltà che questa persona ha dovuto affrontare e risolvere da sola.
Sono quasi quattro milioni gli italiani che tra il 1880 e il 1930 approdano negli Stati Uniti su un totale di emigrati italiani che scelsero mete transoceaniche di 9 milioni circa. Occorre precisare che queste cifre non tengono conto dei rientri che rappresentarono un fenomeno massiccio:circa la metà degli emigrati rimpatriò. Inizialmente gli immigrati provenivano dalle regioni del nord in seguito da quelle del sud e per tutti l’ impatto con il nuovo mondo si rivelava difficile fin dai primi istanti: ammassati negli edifici di Ellis Island, o di qualche altro porto come Boston, Baltimora,o New Orleans gli immigrati,dopo settimane di viaggio, affrontavano l’esame a carattere medico e amministrativo,dal cui esito dipendeva la possibilità di mettere piede sul suolo americano. La severità dei controlli fece ribattezzare l’ isola della baia di New York come “l’Isola delle lacrime”.
Dopo l’ unificazione dello Stato italiano, la pressione demografica, la difficile situazione economica soprattutto nelle campagne avevano creato disoccupazione e miseria, a cui si cercava di sfuggire con l’ emigrazione. Solo alla fine degli anni ’80 l’Italia, da paese d’ emigrazione, è divenuto paese d’ immigrazione:albanesi, rumeni, tunisini, marocchini, filippini, cinesi,ecc. si sono stabiliti da noi temporaneamente o in maniera definitiva. Anche loro hanno dovuto affrontare un viaggio spesso pieno di rischi e in condizioni disumane, talvolta analoghe a quelle in cui si trovarono molti anni fa gli immigrati italiani.
Per molti decenni gli emigrati viaggiarono verso l’ America a bordo di piroscafi o bastimenti in condizioni igienico - sanitarie disastrose. L’affollamento, la pessima qualità del cibo, la sistemazione senza precauzioni igieniche in cuccette o sul ponte favorivano l’ insorgere di malattie, creavano comunque situazioni di gravissimo disagio. L’ attraversata spesso duravo 30 giorni con il rischio di naufragi e incidenti.
Per ricostruire la storia dell’ immigrazione e le storie degli emigrati servono moltissimi documenti, perchè si tratta di un fenomeno complesso e molto vasto.
Gli storici devono infatti indagare la situazione economica, sociale e culturale del paese di origine nell’ arco temporale preso in esame, devono conoscere l’entità numerica degli spostamenti, le modalità del viaggio, le mete di destinazione, i modi di interazione con la nuova realtà, ma anche le aspettative, le condizioni di vita degli emigranti. I documenti che lo storico utilizza si trovano negli archivi pubblici (giornali, leggi e ordinanze, regolamenti, ecc.), negli archivi privati (lettere, diari, memorie autobiografiche, fotografie, ecc.), in testi pubblicati (romanzi, poesie, canzoni, ecc.), oppure devono essere costruiti intervistando coloro che hanno vissuto l’ esperienza dell’ emigrazione. Il viaggio dello zio Francesco è un percorso lungo che ho sintetizzato trascrivendo fatti e avvenimenti che a me sembrano significativi, raccogliendo informazioni da diari, lettere e racconti orali di mia nonna.
L’uomo, da sempre è alla ricerca della serenità, di una vita costruttiva, ricca di alternative ma soprattutto di libertà, di pensiero e di azione che gli permetta di realizzarsi come persona.Il viaggio dello zio Francesco, se così si può definire è un viaggio costretto verso una realtà a lui sconosciuta e piena di imprevisti, ma con una speranza certa, trovare la libertà che gli permetta di esprimersi come essere umano, come artista per sé stesso e per gli altri.
Nasce a S. Ambrogio nel 1894 e inizia il suo lavoro come scalpellino molto giovane, professione che svolgerà anche suo fratello Mario(mio bisnonno), e che lo porterà a diventare maestro d’ arte della scuola Paolo Brenzoni. Il viaggio dello zio inizia in Francia nel porto di Hyères.
Novembre 1914
Dopo lunghi giorni trascorsi su mezzi di fortuna siamo arrivati al porto francese di Hyères assieme a Zampieri, Semprebon e Zorzi mi imbarco sul bastimento e mi appresto a questa nuova vita. Lascio la mia casa, la mia terra, i miei affetti, la mia amata Ancilla e parto per piantare in quel luogo sconosciuto questo mio sentimento di libertà. Non so cosa e chi troverò, non so se ci arriverò, ma il senso di esistere mi impone e mi spinge a farlo. Sarò come un animale in preda al suo istinto primitivo:la sopravvivenza.
Destinazione Brooklin dove zio Noè mi aspetta. Chissà se quando arriverò ci sarà ancora. Quanti dubbi, quante paure, quante incertezze. Parto, parto per tutti, anche per quelli che non sono potuti partire, per i soldati che si apprestano ad una guerra senza senso, per le madri, le mogli, per i lavoratori sfruttati, per le idee che ti portano a stare male, ad essere in crisi con te stesso, ma non puoi soffocare o far finta che non ci siano.
Parto da disertore della Patria, la mia Patria, parto, perché rimanere equivale a morire; forse morirò in ogni caso e piango, piango di paura.
Così lo zio Francesco inizia il suo lungo viaggio, che terminerà dopo più di 30 giorni al porto di Ellis Island dove rimarrà altri 40 giorni. Il viaggio in bastimento è stato un viaggio tormentato, difficile, sconosciuto il mare, alle volte buono, alle volte cattivo.
6 Dicembre 1914
Cara Ancilla,
è già 10 giorni che siamo in viaggio, tu non potresti mai credere. Dormiamo, mangiamo sempre nello stesso posto, non abbiamo spazio per muoverci. Mi manca molto il mio paese, la famiglia, gli amici, alle volte vorrei tornare indietro, ma ci facciamo coraggio a vicenda con la speranza di arrivare presto. Ho conosciuto un prete, che verrà a Brooklin con noi e ci tiene compagnia nelle lunghe sere, quando, cullati dal mare, calmo e pacifico ci lasciamo andare nell’ ascolto dei passi dell’ Esodo della Bibbia. Sarà lui a sposarci quando mi avrai raggiunto, spero presto.
Un abbraccio forte.
Arrivato a New York abiterà assieme ai suoi amici e allo zio Noè in un piccolo appartamento a Brooklin.
La migrazione a catena portò alla costituzione delle “little italies” nelle principali città statunitensi, interi quartieri abitati da italiani nelle cui strade la lingua ufficiale erano i vari dialetti dei paesi di provenienza, con negozi in cui si vendevano prodotti di importazione italiani. Spesso quartieri una volta residenziali si svuotarono per lasciare il posto ai ‘tenements’, definiti come, secondo la descrizione della Immigrant Commission nel 1900: edifici di cinque o sei piani, a volte sette, lunghi poco più di sette metri e larghi trenta con uno spazio libero di tre metri sul retro, per dare luce e arie alle stanze su quel lato. Ogni piano è generalmente diviso in quattro appartamenti, essendoci sette stanze su ogni lato dell’ ingresso, che si estendono sulla strada verso il retro. Delle 14 stanze su ogni piano solo quattro ricevono luce ed aria diretta dalla strada o dal piccolo cortile sul retro “generalmente lungo le pareti laterali dell’ edificio vi è quello che viene chiamato ‘ condotto dell’ aria ’ cioè un incavatura della parete profonda 70 cm e lunga da 15 a 18 m e alta quanto l’ edificio. Questi condotti funzionano come trasmettitori di rumori, odori e malattie e quando scoppia un incendio diventano una cappa infiammabile rendendo spesso difficile salvare l’ edificio dalla distruzione”. New York era la città con più tenements degli Stati Uniti: nel 1909, secondo i dati della stessa commissione c’erano 102.897 tenements houses con una popolazione di 3.775.343 abitanti. Oltre il 79% della popolazione di new York abitava in tenements.
Il 1 febbraio del 1915 lo zio si sposa a Brooklyn con la zia Ancilla che nel frattempo lo aveva raggiunto. La sera stessa si mettono in viaggio per li Vermont dove nella cittadina di Barre gli amici li stanno aspettando. Qui lo zio aveva trovato lavoro assieme agli altri emigrati. In questa zona degli Stati Uniti ci sono tuttora molte cave di marmo che gli permettevano di lavorare portando a termine i lavori commissionati e permettendo alla piccola famigliola di andare avanti. Nel 1916- 1917 nascono le sue due figlie ,Elina e Leia. Terminata la Prima guerra mondiale lo zio con tutta la famiglia torna in Italia. Abiterà a S. Giorgio e continuerà a lavorare come scalpellino.Quando il fascismo va al potere lo zio si sente nuovamente l’uomo in gabbia di un tempo, l’uomo privato della libertà, l’artista che non può manifestare la propria idea.
Allora non resta che ripercorrere i passi di un tempo e con tutta la famiglia riparte. I quattro membri, due bimbe piccole, la moglie e lo zio si imbarcano nel porto di Genova e ripartono verso l’ ignoto. Anche questa volta il viaggio sarà lungo e pesante, quando arriveranno al porto New York per un periodo abbastanza lungo non troveranno una dimora fissa,la casa non è un qualcosa di fisico ma diventa un rifugio. Questo peregrinare non è molto lontano dai fatti di cronaca che si sentono o si leggono sui giornali dei nostri giorni. Sono gli stessi uomini,le stesse donne, che per gli stessi motivi partono per luoghi a loro sconosciuti e che quando dopo giorni o mesi di peripezie arrivano si sentono umiliati aggrediti e giudicati. Forse il viaggio di questo zio non è servito a niente? Quanti zio Francesco si vedono oggi nelle nostre città sulle nostre strade o bussano alle nostre porte. Solo nel 1927 lo zio riesce a stabilirsi definitivamente nel Passaic città nello stato del New Jersey dove diventerà un artista famoso e richiesto in tutto l’est degli Stati Uniti.
Negli anni seguenti proseguirà gli studi nel settore del marmo facendo corsi di disegno, scultura, diventando maestro scultore e nelle più importanti città americane. I suoi lavori più importanti sono presso il National Archives e Supreme Court Building in Washington D.C. e la Cattedrale di St. John the Divine, Riverside Cathedral e il Four Freedoms Memorial Building, di New York City; ma la sua opera più importante ed impegnativa è stata per la Cathedral of Mary Queen in Baltimore. Lo zio Francesco non tornerà più in Italia, se non per visitare i parenti, ma la nostalgia per il suo paese natale lo accompagnerà per tutta la sua vita.
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