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8.1.10

Radio Euradionantes (Francia) parla di Merica

In coincidenza con la proiezione all'Università di Nantes di Merica, Euradionantes ha intervistato uno dei registi, Federico Ferrone, in due occasioni.

Clicca qui per ascoltare l'intervista (in italiano) durante"Le quart d'heure italien d'Issimo".
Clicca qui per ascoltare l'intervista (in francese) durante "L'invité de la redaction"

23.1.09

L' "Alto Adige" parla di Merica

In occasione della proiezione di Merica a Bolzano, Massimo Bertoldi ha realizzato un'intervista apparsa il 22 gennaio sull' Alto Adige

Federico Ferrone firma con Michele Manzolini e Francesco Ragazzi la regia del film “Merica”. Gli abbiamo rivolto alcune domande, per meglio capire i contenuti e o obiettivi dell’operazione
Come e quando è nata l'idea di affrontare il tema trattato in "Merica"?
Volevamo soprattutto raccontare l'immigrazione dell'Italia attuale e ci è sembrato una buona idea confrontarla con la grande emigrazione italiana di un secolo fa. Gli italiani di oggi sono molto indulgenti con le sofferenze dei propri emigranti nel mondo, molto meno con i migranti che arrivano oggi nel nostro paese. Eppure i punti di contatto tra le due esperienze sono molte. Basti pensare che alcuni dei migranti che arrivano oggi sono argentini o brasiliani discendenti di italiani che “tornano” nei villaggi dei loro bisnonni, spesso senza sapere quanto le cose siano cambiate.
Come si è svolta materialmente la realizzazione di questo film-documentario? Il nostro precedente documentario, “Banliyo- Banlieue” aveva vinto il festival Videopolis nel 2005 e il premio era un finanziamento della Regione Veneto. Con quel denaro e con l'appoggio di una casa di produzione di Roma, la Mithril production, ci siamo messi subito al lavoro. Sembra strano ma non c'è stata quasi nessuna differenza nei compiti dei tre registi. Un ruolo fondamentale lo ha svolto Jaime Palomo Cousido, che ha seguito tutte le riprese come camera- man e ha poi montato il film. Per quanto riguarda le riprese. Siamo stati 2 mesi nel Nord Est e poi siamo partiti in Brasile, nella regione di Espirito Santo, dove si trovano molti discendenti di italiani. Abbiamo montato il film per 3 mesi e quindi si può dire che il lavoro è durato circa 8 mesi.
Perchè la scelta del supporto digitale?
Purtroppo è una conditio sine qua non per chi aveva un budget come il nostro. La pellicola ormai è un lusso che si permettono solo i film di finzione a grande budget (almeno 20 volte il nostro). Nel caso di un documentario poi, è importante poter girare molte ore per poi selezionarle con calma in sede di montaggio e questo è possibile solo col digitale.
In merito al tema dell'immigrazione e della vita degli italiani all'estero, come emergono dal vostro prezioso lavoro, cosa si può aggingere oggi, magari pensando a come la politica affronta il tema dell'accoglienza dell'extracomunitario e come risponde l'opinione pubblica al confronto con il 'diverso'? A livello legislativo sembra un problema gigantesco, ma a livello di atteggiamento a me sembra una questione elementare. Io credo che si dovrebbero trattare i migranti come si trattano i cittadini italiani: dando loro innanzitutto dei diritti e poi, eventualmente, punendoli quando delinquono, ma senza demonizzarli in quanto membri della categoria “immigrati” o per la loro nazionalità. E' banalissimo ma mi pare che oggi prevalga una logica opposta: si va avanti a colpi di leggi eccezionali.
Quali sono i circuiti di distribuzione e a che tipo di pubblico il lavoro si rivolge, magari anche scolastico? L'Italia è giustamente considerato un paese con una distribuzione molto chiusa. Fortunatamente esistono alcuni circuiti e distribuzioni alternative. Il nostro film è venduto in dvd dalla rivista CARTA e distribuito da Documè, una meritoria associazione che si occupa di far circolare documentari in tutta Italia. Noi abbiamo creato un piccolo sito dove dichiariamo che siamo felici di proiettare il film nelle scuole, nelle associazioni e nelle sale. Ci scrivono spesso, ad oggi infatti abbiamo organizzato più di 80 proiezioni, anche nelle scuole naturalmente. Massimo Bertoldi

27.10.08

Merica su Passpartù, la trasmissione dedicata ai migranti del network Amisnet

L'ultima puntata di Passpartù, programma radiofonico dedicato all'immigrazione in Italia a cura del network Amisnet, dedica ampio spazio a Merica. Oltre ad alcuni spezzoni audio del film, è possibile ascoltare anche un'intervista a Federico Ferrone.

Per ascoltare la trasmissione clicca qui

Per l'elenco delle radio affiliate a Amisnet
vedi invece qui

2.2.08

Intervista su Cinemaitaliano.info

I registi del documentario "Merica", Federico Ferrone, Michele Manzolini e Francesco Ragazzi, descrivono la loro opera sull'immigrazione tra l'Italia ed il Brasile.
Clicca qui per il testo integrale dell'intervista, a cura di Simone Pinchiorri.

19.10.07

Intervista per Kinoglaz01 - 19/10/2007



Il film documentario Merica, girato tra Veneto e Brasile, riflette sull’immigrazione di ritorno, fenomeno che coinvolge oggi milioni di brasiliani di origine italiana. Essi sono i discendenti di migliaia di italiani (di cui gran parte provenienti dal Veneto) che, dalla fine dell’800 fino agli anni ’50 del ‘900, partivano per il Sudamerica, in cerca di benessere e ricchezza. Molti di loro, dopo un lunghissimo iter burocratico per ottenere la cittadinanza italiana, stanno “tornando” in Italia, il luogo mitico dei racconti dei nonni, in cerca a loro volta di radici e di benessere, che però spesso non trovano. Anzi spesso essi sono le vittime ingenue di un razzismo senza memoria da parte di quei veneti, che li considerano semplici extracomunitari. Il film, con un montaggio alternato, ci mostra dapprima il Brasile, solare, colorato e vasto, poi il grigio e angusto Veneto. Gli Italo-brasiliani, intervistati in Brasile, sognano l’Italia con entusiasmo; ma quella che sognano è un’Italia che non c’è più o forse non c’è mai stata, se non nei racconti dei loro avi; al contrario, nelle interviste realizzate in Veneto, emerge la delusione e la non integrazione. Paradossalmente risulta molto più integrato un brasiliano, che non ha origini italiane, ma che parla perfettamente l’italiano e ha un lavoro. Questo film ha il grosso merito di portare alla luce la questione dei famosi “italiani all’estero”, di cui tanto si parla, ma di cui in realtà non si sa nulla. E inoltre Merica è un invito alla riflessione sull’ identità nazionale, che, malgrado l’opinione di persone come Gentilini –intervistato nel film con involontario effetto comico- , oggi non coincide più con i confini geografici e culturali, che servono solo ad alimentare odio e razzismo.

Ho intervistato Michele Manzolini, uno dei tre registi (con Federico Ferrone e Francesco Ragazzi)

Da dove nasce l’idea di questo documentario? E chi ha finanziato il film?
Nel 2005 Federico Ferrone e Francesco Ragazzi hanno vinto il “Premio Videopolis” con il documentario Banliyo- Banlieue: questo premio, stanziato dalla regione Veneto, consisteva in un finanziamento di 20.000 euro per produrre un film. Unici vincoli: il tempo a disposizione (solo un anno per produzione e postproduzione), e che il film avesse delle relazioni con la regione Veneto.
Io, come gli altri registi, non sono Veneto, ma avendo vissuto in Brasile per due anni, avevo conosciuto brasiliani di origini italiane, soprattutto venete, che sognavano di rifare il viaggio dei loro nonni ma nella direzione contraria.

La scelta del digitale è stata guidata esclusivamente da ragioni economiche o anche estetiche? Quante e quali videocamere avete utilizzato?
Sarebbe stato impossibile girare in pellicola, specialmente un documentario, genere che richiede molto girato. Inoltre noi siamo di una generazione che non si pone neanche la questione. La pellicola è ormai utilizzata dai grandi vecchi del cinema, anche se persino Herzog gira adesso i suoi film in digitale. Grazie al questo finanziamento abbiamo potuto sperimentare l’HDV su supporto magnetico; all’inizio la qualità dell’immagine ci sembrava analoga al DV, ma poi ci siamo accorti che era di gran lunga migliore. Abbiamo optato per uno stile “cinematografico” con un formato 16:9 e l’utilizzo di panoramiche e campi ampi, anche nelle interviste: senza l’HD non avremmo potuto cogliere dettagli importantissimi e suggestivi, specialmente nelle riprese in Brasile, dove lo spazio è sconfinato. Un apporto importante al film è dato anche dalle didascalie e dall’animazione digitale di Giuseppe Ragazzini: avevamo bisogno di qualcosa di semplice che inquadrasse la situazione, senza appesantire il film. Per lo stesso motivo non abbiamo ricorso a una colonna sonora: abbiamo utilizzato solo una canzone di un gruppo portoghese, i Terrakotta, come accompagnamento dell’animazione. Abbiamo utilizzato una videocamera, la Sony Z1, “maneggiata” da Jaime Palomo Cousido, il nostro operatore. La Mythril, una casa produttrice di Roma, ci ha messo a disposizione sia la videocamera che la cabina di montaggio, oltre ad aiutarci in fase produttiva e distributiva.

Come è stata la fase di montaggio e quale programma avete utilizzato?
È stata la parte più dura! Per due mesi abbiamo lavorato tutti e quattro insieme (con Federico, Francesco e Jaume) 24 ore su 24: avevamo 70 ore di girato e abbiamo dovuto eliminare tante cose, anche belle, da poterci fare quattro film, ma adesso non c’è alcuna voglia di rimettersi su Final cut! Sarebbe servito più tempo e forse una più netta suddivisione delle mansioni, ma forse lavorando individualmente non ce l’avremmo mai fatta!

Copyright o copyleft?
Siamo a favore dei Creative Commons, ma siamo legati alla Mythril, quindi il film è Copyright.

Quali strategie distributive?
Non avevamo una particolare strategia. I nostri canali sono stati i festival, e alcuni cinema, come il Lumiere a Bologna. Adesso il film girerà molto per i centri sociali soprattutto del Veneto, che è chiamato direttamente in causa. La presentazione a Treviso qualche settimana fa, ha destato molto interesse, (anche se non sono mancati i commenti razzisti) tanto da far nascere una collaborazione fissa con l’Arci di Treviso. Per il resto, da perfetti sconosciuti, ci siamo affidati al passaparola e a internet: ha funzionato. Di recente siamo stati a Rimini per l’incontro dei documentaristi italiani. Una delle tematiche più discusse è stata proprio quella della difficoltà distributiva. Moroni portava il suo esempio di distribuzione alternativa: è riuscito a distribuire il suo film documentario Le ferie di Liku, vendendo i biglietti preventivamente su internet, riuscendo così a garantire agli esercenti la presenza di pubblico.


Marina Resta
LINK: http://www.kinoglaz01.net/index.php?mod=read&id=1192824360

15.10.07

Intervista su FuoriVista








Intervista a Federico Ferrone - "Merica!"

Bologna – 15 ottobre 2007

di Stefano Mandelli


Lo spunto per questa intervista nasce dopo il passaggio di Merica al “Terra di Tutti Film Festival”, appuntamento dedicato al documentario e cinema sociale organizzato a Bologna il 12-13-14 ottobre scorsi, dove il film ha vinto il premio del pubblico. Abbiamo quindi approfondito con Federico Ferrone, coautore del film insieme a Michele Manzolini e Francesco Ragazzi, la genesi del lavoro e i temi principali che lo attraversano.

Aldilà della scelta obbligata della location – cioè il Veneto - come nasce Merica?

Una delle cose interessanti dell’Italia è la sua storia d’emigrazione gigantesca, una storia di cui si parla seppur con delle zone d’ombra. Allo stesso tempo il nostro è un paese che adesso riceve una grande immigrazione e penso che in Europa siamo quelli che hanno questo tipo di doppio rapporto più marcato.

Quindi, proprio perché oggi si parla molto di immigrazione e ci sono anche parecchie paure legate all’immagine dell’immigrato, ci è sembrato interessante prendere il paradosso di una zona come il Veneto che per tutta la sua storia è stata terra di migranti, di gente che è diventata “ricca” da meno di trent’anni, e che adesso ha un bisogno fisiologico di immigrazione e nonostante questo non sempre è accogliente con chi arriva.

Questa è stata l’idea di base, che abbiamo sviluppato anche con grande lavoro di ricerca prima in Veneto e poi in Brasile.

Abbiamo quindi deciso di raccontare tra questi due poli, il Veneto da una parte e il Brasile dall’altra, due storie d’immigrazione che sono poi in definitiva una storia unica, ovvero i veneti che andavano in Brasile fino a cinquant’anni fa, che sono rimasti lì e che adesso sono brasiliani ma comunque mantengono un legame forte, e al contempo i loro discendenti che hanno anche cinquant’anni ma spesso sono molto più giovani e hanno un’idea dell’Italia come di una paese ricco, mitizzato come la patria sognata, e che una volta qui si scontrano con molti problemi.

Perché la decisione di lavorare in tre alla regia? Con Francesco avevi già avuto modo di collaborare in Banliyö - Banlieue, mentre con Michele è la prima esperienza…

Conosco sia Michele che Francesco da diverso tempo. Con Francesco Ragazzi avevo girato questo documentario sulle comunità turche nelle periferie francesi con il quale vincemmo il premio Videopolis nel 2005, che di fatto ci ha permesso di fare Merica. Già in precedenza eravamo in tre – con noi c’era Constance Rivière – mentre ora il terzo elemento è Michele Manzolini, grande esperto di Brasile e che lì ha vissuto due anni, dunque fondamentale per un film come il nostro.

Come registi, possiamo dire ancora agli esordi, come vi siete mossi a livello di produzione e di distribuzione?

Questo film aveva un budget economico che arrivava da un ente locale - la regione Veneto - e parlando con colleghi documentaristi ci siamo resi conto che gli unici che possono permettersi di finanziare con dei soldi a fondo perduto sono proprio gli enti pubblici. Penso che questa sia una cosa da non sottovalutare e per niente negativa, soprattutto se non ci sono vincoli. Abbiamo trovato una casa di produzione di Roma, la “Mithril Production” e anche con il loro appoggio stiamo portando il film ai festival. Questa può essere, per chi può permetterselo, la strategia migliore per far conoscere il film: i giornali ne parlano, può arrivare qualche premio, e si costruisce così un piccolo curriculum. Siamo già stati al Tek Festival di Roma, al BiancoFilmFestival di Perugia, in Puglia all’ImaginariaFilmFestival, allo IonioEducationalFilmFestival dove abbiamo vinto, e in molti altri festival e inoltre a novembre saremo al SulmonaCinema FilmFestival, sicuramente una delle vetrine più importanti per il giovane cinema italiano.

La nostra idea è di concludere un anno di festival e poi di provare a vendere seriamente, anche perché il film rimane attuale proprio perché tratta di un argomento che è anche politico come quello degli italiani all’estero.

Ti ho fatto questa domanda perché nelle mie interviste precedenti con registi più o meno noti, tutti hanno lasciato intravedere una certa disillusione che nasce non nel momento in cui si lavora al film, ma proprio quando si deve pensare alla fase distributiva, quando si deve cercare di dare un futuro al prodotto finito…

Parlando della mia esperienza io posso dirti che conosco due sistemi, il nostro e quello francese. Non che in Francia le cose siano completamente diverse, ma in effetti il sistema francese prevede meccanismi distributivi forse più chiari. Basti pensare ad una televisione come “Arté”, che è un acquirente splendido perché ogni giorno programma cinque documentari di qualità.

Qui invece noi siamo ad un livello basso, ma anche chi si trova ad un livello più alto ha questa idea per la quale sa come comincià ma non come finisce. Ci sono occasioni isolate come quella di Rai3, che ha mandato in seconda serata una serie di documentari sotto il titolo di Doc3, e ci sono esperienze analoghe in Svezia e in Inghilterra con la BBC. Sono dell’idea che dovrebbero essere proprio le TV a mostrare con sempre maggior frequenza un prodotto come il documentario, anche se la circolazione di questi film in sala è cresciuta costantemente negli ultimi anni.

Il risultato paradossale che nasce da questo mercato con pochi acquirenti è che si lavora in modo molto libero, diversamente dalla Francia dove c’è molta più rigidità anche nei confronti dei formati.

Una strada che in futuro ci piacerebbe percorrere, che in Italia non è ancora troppo battuta, è quella delle coproduzioni e dei finanziamenti europei, un modo questo che pùò spesso aiutare anche per la circolazione del film. Penso che anche su questo terreno noi siamo rimasti un po’ fuori, in particolar modo rispetto ad alcune nazioni europee come l’Olanda o i paesi nordici dove esiste un mercato più vivo.

A questi problemi va poi aggiunto quello del pubblico, perché è evidente che non c’è una cultura del documentario diffusa. Io penso, come sostengono tra l’altro molti registi, che non sia un male se la frontiera tra documentario e fiction si assottigli sempre di più fino a scomparire, anche perché questo può essere motivo di stimolo sia per l’autore - che può così giocare con i due lati - sia per il pubblico.

Da un punto di vista prettamente tecnico quanto vi è costato il film in termini di denaro, ma in particolar modo in termini di tempo?

Noi avevamo il vincolo di farlo in un anno. Di fatto abbiamo cominciato a concepirlo nel febbraio del 2006, tra aprile e giugno abbiamo girato in Veneto, a settembre abbiamo girato in Brasile e da ottobre a Natale abbiamo montato: ci sono dunque voluti circa 9 mesi per il lavoro finito.

Per quel che riguarda i costi siamo riusciti a sfruttare al meglio il finaziamento di 20.000€ della Regione Veneto, più un piccolo surplus messo dagli enti pubblici brasiliani, anche perché il materiale e la sala di montaggio sono stati messi a disposizione dalla casa di produzione. In tutto questo abbiamo pagato solo un montatore-operatore mentre noi ci siamo solo mantenuti nelle spese.

È chiaro che la speranza di recuperare questi soldi è pari a zero, ma c’è da dire che noi aspettiamo un riscontro a lungo termine, perché la nostra non è la logica del film che esce in sala e poi in DVD.

Tornando ai contenuti e al tema dell’immigrazione e degli italiani all’estero, cosa puoi aggiungere e qual’è l’impressione che ti sei fatto di questa storia che possiamo definire universale e ricorrente?

La cosa interessante di questo film è che siamo andati ad esplorare quelle comunità italiane all’estero di cui si parla poco, come quella dello Stato di Espirito Santo in Brasile. Queste comunità hanno dell’Italia un’immagine molto forte e presente: in particolare in Brasile, rispetto a Stati Uniti, Canada, Australia, è così, proprio perché lì ci sono regioni più in difficoltà che guardano a noi non come ad un polo folkloristico della memoria, ma come ad una vera opportunità che possa colmare una necessità economica reale. C’è dunque un flusso di persone con passaporto italiano, che quindi come tali non vengono conteggiate nei registri dell’immigrazione, che arrivano e proprio in virtù di questa aspettativa fortissima hanno poi una delusione altrettanto forte. Moltissime famiglie arrivano con una speranza che in pochi mesi è più che disattesa, anche perché di fatto sono assunti con difficoltà, fanno i lavori peggiori e sono discriminati perché parlano male la lingua.

Noi abbiamo voluto giocare su questo che sembra un paradosso, ma che poi è la realtà, e cioè sul fatto che a loro è andata male in tutti i sensi. Cent’anni fa questi veneti sono andati in Brasile verso un miraggio, hanno lavorato come bestie, e nel frattempo per una serie di circostanze l’Italia è diventate mille volte più ricca del Brasile. Adesso i loro discendenti ripartono e si scontrano contro una regione, ed un paese in generale, che ha dei problemi seri di integrazione e questo mi sembra che il film lo mostri con evidenza.

È interessante osservare come lo Stato italiano tratti queste persone…

Qui c’è un problema politico che si intravede in filigrana. Per anni in Italia si è ignorata questa presenza all’estero perché talmente forte e numericamente grossa – si dice oggi che ci siano altrettanti italiani di sangue fuori dall’Italia che nel territorio italiano – che sia la DC che il PCI, sia il PSI e tutti i partiti repubblicani la vedevano come una mina vagante. Gli unici che l’hanno almeno parzialmente seguita sono stati gli ex fascisti alla Tremaglia, e quando è stata concessa la possibilità di votare ci si è accorti che questi italiani votavano secondo criteri che non erano per niente chiari. La scelta che adesso è stata fatta è quella di bloccare la burocrazia rendendola lentissima, portando fino a vent’anni d’attesa il tempo necessario per una cittadinanza. È questa una situazione drammatica perché c’è un’altra Italia fuori dai nostri confini che subisce questo tipo di cose.

Penso che uno dei meriti di questo film sia il fatto che lasci molto spazio allo spettatore per elaborare un giudizio sulle cose mostrate. Anche la scelta di non usare la voce fuori campo a supporto delle immagini ne è una conferma?

Questo è vero, anche se è altrettanto evidente da che parte siamo schierati. Le proiezioni sono andate sempre molto bene, anche a Treviso. Sarà importante vedere come reagirà il pubblico brasiliano, perché sono convinto che questo è un film che interesserà moltissimo in Brasile proprio perché mostra quella che per loro è l’altra parte. Un film così può essere utile per far capire qual è la realtà, per svelare quello che è un grosso equivoco da entrambe le parti.

Per quanto riguarda la voce fuori campo, come molti puristi del documentario, anche noi siamo ostili a questo tipo di tecnica perché ci sembra un modo troppo esplicito per indirizzare il pubblico.