16.10.08

Merica recensito da "Africa e Mediterraneo"






Una terrazza luminosa nonostante le inferriate che la chiudono. Il giovane Felipe confida alla telecamera la sua seria intenzione di partire per l’Italia: “So che avrò i miei diritti di italiano. Voglio fare tutto ciò che fa un cittadino italiano”. Siamo nella regione dell’Espirito Santo, Brasile.

Felipe è nipote di uno di quei 16 milioni di italiani che tra la fine del secolo scorso e i primi del ‘900 lasciarono il proprio paese in cerca di opportunità.

Poi un volto chino, che spunta da un piumino blu, lo sguardo fisso sulla punta delle scarpe che, veloci, si fanno largo su un marciapiede in una qualsiasi mattina grigia. Siamo in Veneto, Nord-est italiano.

Il volto che si gira di tanto in tanto guardingo verso l’obiettivo appartiene a uno dei milioni di immigrati approdati nel nostro Paese.

Con queste due immagini che si alternano con un ritmo via via sempre più incalzante si apre Merica. Due immagini-simbolo di chi da una parte dell’oceano è ancora pieno di speranze e aspettative e di chi, dall’altra parte, molte di quelle speranze le ha perse ritrovandosi ad affrontare una realtà spesso dura e chiusa.

Merica ci pone davanti a due iter andata-ritorno, Veneto-Brasile e Brasile-Veneto: periodi storici diversi, direzioni opposte, protagonisti differenti, ma uguale la ragione dello spostamento. La ricerca di una migliore condizione di vita.

In poco più di un secolo i flussi migratori si sono letteralmente rovesciati. Se prima si sfuggiva a un’Italia povera e contadina, oggi questo stesso paese ha fatto il salto ed è entrato nel club del primo mondo, richiamando migranti da ovunque.

In questa analisi dell’immigrazione da e per l’Italia numerosi sono i punti dolenti toccati: in primis questa sorta di perdita di memoria che colpisce quegli italiani che ieri vedevano amici e parenti partire e che oggi vogliono blindare i confini per evitare che “varie etnie” assaltino come api il “miele” della propria economia.

Merica ci induce anche a interrogarci sul significato dell’appartenenza a un’identità nazionale e culturale: chi cresce nella cultura italiana ma è cittadino di un altro paese è straniero, chi è cittadino italiano ma è cresciuto in una cultura diversa è sempre e comunque straniero. Un paradosso semantico e identitario che, attraverso le riflessioni di italiani all’estero e di stranieri in Italia, ci porta a interrogarci sui criteri che determinano l’appartenenza o meno a una società.

Ieri da una parte dell’oceano l’entusiasmo del sentirsi italiani ha aiutato generazioni di immigrati ad affrontare le difficoltà quotidiane, creando il senso di comunità. Oggi questo sentimento continua a alimentare i sogni dei giovani, a volte per semplice curiosità di indagare sulla propria origine, a volte per sfruttare quell’italianità che diventa un lasciapassare verso il primo mondo. Ma, una volta giunti dall’altra parte della sponda, capita spesso che questo entusiasmo perda la sua carica.

Il documentario in stile cinematografico 16:9 scorre veloce attraverso una fotografia attenta e curata, con interviste mirate a offrire un’ampia panoramica dei diversi punti di vista (dagli immigrati di ieri, agli immigrati di oggi, dal prosindaco di Treviso Gentilini, a Zulian, rappresentante del coordinamento immigrati di Verona).

Federico Ferrone, Michele Manzolini e Francesco Ragazzi sono i realizzatori di questa pellicola che ha già ricevuto diversi premi e riconoscimenti: dal premio del pubblico a Terre di tutti Film Festival di Bologna al primo premio al Jeff Festival di Taranto.

Panoramiche e campi aperti, la radio che ogni tanto irrompe, sintonizzata ora sulle frequenze brasiliane ora su quelle italiane, il leit-motiv del gruppo portoghese Terrakota e l’animazione di Giuseppe Ragazzini dai disegni leggeri per temi che sfiorano il dramma, danno un tocco di stile in più a questo lavoro già di per sé eccellente.


Elisabetta Degli Esposti Merli


Africa e Mediterraneo 1/08 (numero 63)

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